Tratto dal libro “Significato di 40 anni di Cisl a Salerno”
di Pietro Passamano

Mi sembra abbastanza chiaro che ci sono stati due momenti, anche se molto ravvicinati, tra la fondazione della CISL Nazionale e di quella Salernitana.
Noi stiamo celebrando il nostro quarantennale, partendo dalla nostra esperienza, che è stata sicuramente molto travagliata, e di questo travaglio ne riscontriamo ancora oggi tracce nella società, e in alcuni partiti, in particolar modo nel PCI e nella D.C. salernitani.
Tutte le Organizzazioni di massa, e in questo caso il nostro Sindacato, dovevano fare i conti con la preesistenza, la confusione, di quello che era il modo cattolico, e di quello che era la D.C. con i propri militanti, anche se Giulio Pastore aveva opportunamente voluto una organizzazione non a caso aconfessionale. La lotta fratricida nella D.C. di allora, tra la corrente degli agrari, la corrente cristiano-sociale e la corrente con cultura più spiccatamente industriale.
Con un Partito Comunista sconfitto dalle lotte contadine per la conquista delle terre, rifugiato dentro le mura della città, e soprattutto tra il sottoproletariato. Teso ad acquisire un minimo di consenso, soprattutto tra i lavoratori edili, che partecipavano alla ricostruzione della nostra provincia. Tutto questo sicuramente non aiutava un tipo di sindacato che aveva l’ambizione di essere il sindacato nuovo. Ma, nonostante ciò, trovammo subito consenso tra i lavoratori della terra, soprattutto tabacchine della piana del Sele, e i primi nuclei dei trasporti e nell’Amministrazione comunale.
Tra i Padri fondatori che aveva questo nuovo Sindacato, trova un posto significativo l’on. Domenico Colasanto, almeno tra il gruppo dirigente meridionale, soprattutto campano. II merito dell’on. Domenico Colasanto è tanto grande perché comprese per primo che, nel sud, non si potesse avere lo stesso sindacato che c’era nel nord del Paese. Noi avevamo una struttura economica e produttiva diversa e pertanto bisognava puntare su un sindacato più popolare, in modo da contribuire al riscatto del sud, anche attraverso il sindacato.
Tutto questo si accompagna anche con la realizzazione dell’A.S.I, con grande impulso all’espandersi del nuovo apparato industriale, che a sua volta seppelliva il preesistente, come l’industria delle arti bianche, per anni il nostro vanto insieme alle M.C.M. Tutto ciò modificava con la presenza dell’amico Rolando Cian, primo Segretario Generale della USP negli anni 50, perché mentre da un lato non avevamo sufficienti gruppi dirigenti, dall’altro la divisione esterna si riproduceva dentro il sindacato. L’amico Enzo Giacomelli riguardava invece una fase di transizione, con una sola novità, una crescita di una forte FISOS/CISL dal punto di vista organizzativo.
La svolta si ebbe con l’arrivo dell’amico Giorgio Gentili e di Guglielmo Volpi.
Certo, a questo punto, avevamo la sensazione di continui commissariamenti. Insieme a loro, non bisogna dimenticare il grande contributo dato dall’amico Bruno Stanzione, a partire da una situazione economica ed amministrativa per niente facile, e dopo tutto non poteva essere diversamente per una organizzazione che doveva darsi una dimensione anche in questa direzione. La gestione delle risorse, non solo umane, ma anche economiche, ha avuto un grande ruolo al fine di far evolvere un processo di crescita politico ed organizzativo, per gli obiettivi che si volevano raggiungere. Tutto questo non è mai stato considerato dal punto di vista politico e letto nella giusta considerazione. Perché questi sono limiti di una grande Confederazione che è composta da grandi Categorie. Ma, per la Confederazione, l’invio di questi dirigenti esterni si accompagnava e si giustificava con nuove presenze industriali molto significative, come la Marzotto. Pertanto la CISL salernitana seguiva la propria strada che era sicuramente diversa da quella napoletana, questo lo dico nel bene e nel male. Non c’è dubbio che Giorgio Gentili ha lasciato un grande segno in questa CISL, a partire dalla costituzione di nuovi gruppi dirigenti, coloro che hanno risposto ai gravi fatti del 1969 (Battipaglia) e a quelli del 1971 (le barricate di Eboli); tutto questo trovava la sua ragione nello stabilire se la FIAT avesse dovuto costruire il nuovo stabilimento a Grottaminarda (AV) invece che nella piana del Sele. In realtà, si misurarono due gruppi dirigenti, quelli della fascia costiera e quelli delle zone interne, con la vittoria di questi ultimi.
Fondamentalmente, rimaneva, per questa nostra organizzazione, la propria autonomia, non tanto dai padroni, cosa scontata, ma dalle istituzioni e, soprattutto, dalle forze politiche, in particolare dalla D.C. salernitana che, poi, rimaneva e rimane la maggiore attrazione dei militanti della CISL.
Ma per rendere il gruppo dirigente sempre più autonomo, bisognava dotarlo di capacità di elaborazione autonoma, e qui lunghi corsi di formazione, non solo al Centro di Firenze, ma a più livelli.
Così la nostra Organizzazione, al cospetto dell’autunno caldo, non si trovò del tutto impreparata, il nostro gruppo dirigente salernitano fu integrato da ulteriori energie e non solo, ma anche da nuove esperienze, come l’amico Vittorio Benini della FILCA, l’amico Sergio Piccini della FULPIA e l’amico Giuseppe Di Massa della FILTA e tanti altri che sfuggono alla mia memoria.
Erano considerati teste molto calde da persone che erano approdate a Salerno nel 1962, come l’amico Guglielmo Volpi che, nel frattempo, aveva nei fatti assolto il suo ruolo per cui era arrivato a Salerno e vedeva gli altri come elementi destabilizzanti della Organizzazione e la messa in discussione del lavoro fin lì svolto.
Ma il limite, o meglio la cecità, stava nel non comprendere che fuori, dentro la società, tra i lavoratori, dentro le Università italiane e anche a Salerno, c’era una grande volontà di cambiare la nostra storia e i nostri amici che erano venuti al sud per darci una mano non ne avevano colpa. Certo, qualcuno di questi dava l’impressione di essere arrivato in Africa per colonizzare, ma certamente ciò non giustificava la posizione conservatrice di chi in alcuni momenti, anche inconsapevolmente, finiva per porre in essere addirittura atteggiamenti che sfioravano la provocazione.
Ma il movimento cresceva, cresceva l’unità fra la CGIL/CISL/UIL e poco importava stare alla “guardia del bidone”, L’alleanza prima tra CGIL/CISL/UIL e poi l’unità con gli studenti attraverso assemblee nelle scuole e nella stessa università non poteva rimanere un fatto effimero, ma ne scaturì una grande lotta, prima per i rinnovi dei Contratti dell’industria e poi, a livello nazionale, per le grandi riforme: da quella per la casa a quella per il Mezzogiorno, per finire ad un progetto per la città di Salerno, elaborato dal Sindacato, o almeno da quella parte più disponibile unitamente al movimento studentesco. Mi sembra abbastanza evidente che con un gruppo dirigente salernitano sperimentatosi con l’autunno caldo, non era rimasta solo un’esperienza, ma anche nuovi contratti e la conquista dei Consigli di Fabbrica e del diritto alle assemblee sui posti di lavoro, strumenti formidabili per cambiare il volto del sindacato.
Le assemblee nelle fabbriche, le questioni che ponevano i lavoratori, che non erano più solo per un maggiore salario, bensì il diritto ad una casa ad un costo più accessibile, una sanità più rispondente ai tempi, infrastrutture per servizi più efficienti, ci obbligavano ad un Sindacato che veniva definito “Sindacato della Progettualità”.
Chi conosce la nostra città sa cosa avevamo ereditato dal periodo “della ricostruzione”, o meglio cosa avevano saputo fare le varie Amministrazioni, e non solo il più delle volte con la complicità delle opposizioni e, nostro malgrado, anche del Sindacato delle costruzioni, in cambio della egemonia del mercato del lavoro. Tutto ciò fu possibile anche a causa di uno strumento urbanistico molto vecchio, tutt’ora non rinnovato. Ma almeno avevamo evitato un ulteriore degrado e determinato l’avvio di una serie di grandi opere: l’Ospedale S. Leonardo, il nuovo Carcere di Fuorni, il completamento del porto commerciale e di quello turistico, la tangenziale di Salerno, l’avvio del raddoppio autostradale Salerno-Avellino, unitamente alla realizzazione della più grande opera pubblica mai realizzata nella nostra provincia: il trasferimento dell’Università nella Valle dell’Irno.
Il 1985 è stato per il Sindacato Italiano un anno fortemente segnato e di grande risultato politico, mi riferisco all’accordo con i governo ed ai suoi risultati: assegni familiari, fisco e occupazione nel Sud. Il risultato più significativo per noi della CISL è stato e rimane la logica della concertazione e la predeterminazione, che i comunisti definirono “politica dello scambio”.
Certo, qui nessuno vuole scavare nella sabbia e metterci la testa, ma un Sindacato Confederale, diversamente dai Sindacati Autonomi, deve farsi carico di molti fattori che riguardano la società nel suo insieme. Dentro lo scambio, i soggetti che noi rappresentiamo ci guadagnano e contemporaneamente tutta la società se ne avvantaggia, per cui non si comprende e non si comprese allora il ricorso al referendum per il recupero di 4 punti della scala mobile, perché, durante il governo di Unità Nazionale, era successo di peggio e di gran lunga.
Le cose in discussione erano due: la prima la riaffermazione dell’egemonia del P.C.I. sul movimento dei lavoratori e sul Sindacato, al punto di spaccare la CGIL e soprattutto la CGIL/Comunista; la seconda riguardava il modo di fare l’opposizione del P.C.I., in quanto non poteva continuare l’opposizione a mediare le questioni che riguardavano il Sindacato.
Tutto ciò produsse la definitiva rottura della Federazione Unitaria di CGIL/CISL/UIL. Tale rottura non aiutò a fare rispettare tutti gli impegni assunti dal governo con l’accordo della notte di S. Valentino.
Questi motivi caricarono al massimo il gruppo dirigente salernitano, al punto che, nella nostra provincia, il “NO” durante il Referendum ebbe un grande successo, cosa strana al Sud. Ancora una volta la CISL Salernitana si comportò più da area del Lombardo-Veneto che da area del Sud.
Sicuramente, il risultato dell’area salernitana trovò una CISL meglio preparata, nel senso che, dal punto di vista della concertazione, noi avevamo qualche esperienza anche prima della stessa Confederazione, come l’accordo con gli Industriali Salernitani e con il Comune di Salerno del 16 Novembre 1980. Con l’evento disastroso del terremoto del 23 Novembre 1980 e con la sua emergenza non fu possibile concretizzare gli accordi presi.
Oggi, ci troviamo ancora senza P.R.G., con una amministrazione comunale guidata da una giunta di sinistra che ha concesso tutti i lotti di completamento, che noi avevamo impedito alla giunta a guida D.C.. Inoltre, non abbiamo ancora un piano di servizi che riequilibrino la vivibilità, con grandi danni per gli Standard Urbanistici. Il resto sono fatti che appartengono al nostro impegno attuale e la grande parte la dobbiamo ancora scrivere.
Stando, al momento, così le cose nell’area salernitana, mi va di pensare alle altre due organizzazioni: CGIL e UIL non solo salernitane, ma in generale. Noi siamo messi meglio, e questo non per spirito di organizzazione, di cui sicuramente pure sono portatore. Mentre, per certi aspetti, già nel 1985 la scena politica italiana cambia, alla CGIL, nel frattempo, il retaggio del passato non ha consentito di mutare. Le strutture periferiche risentono del “non scegliere” a livello Nazionale e la presenza sempre più crescente dei P.S.I. la condiziona fortemente.
E, se aggiungiamo la svolta che intende dare il vecchio PCI, che per il momento è solo una “COSA”, il resto viene da sé. Si suol dire che il sindacalismo confederale è in difficoltà: certo, ma innanzi tutto bisogna accertarsi di chi lo dice e quale interesse si nasconde dietro queste parole. Quando si diceva che noi eravamo forti, eravamo processati per l’indebolimento della nostra economia: governi che duravano pochi mesi, inflazione alle stelle. Poi abbiamo consentito: il rientro dall’inflazione; il ristabilirsi dell’accumulazione ed uno sviluppo del 5% e siamo criticati perché siamo deboli. Nessuno che ci riconosca che abbiamo difeso il salario reale dei lavoratori dipendenti ed il decollo dell’economia. Il riconoscimento è stato di dare fiato alla corporazione, ai COBAS – GILDE ecc. ecc.
Leggi ferme in Parlamento in materia di tutela degli utenti nei servizi pubblici. Si rimetterà mano a queste cose non appena i lavoratori delle aziende private vorranno rinnovare i C.C.N.L. alle loro condizioni. Io credo che questo sindacato non deve farsi abbagliare da una prospettiva istituzionale che mette in discussione la sua natura: bisogna stare attenti alle sirene che cantano oggi in un modo e domani in un altro modo.
Una riflessione seria sulle riforme istituzionali questo sindacato la deve fare, oggi più che mai, e soprattutto al Sud.
Non ci possiamo consentire vuoti amministrativi molto lunghi, abbiamo le istituzioni occupate dalla delinquenza organizzata, cosa che il Nord utilizza strumentalmente per chiudere con le risorse al Sud e mi riferisco all’intervento straordinario perché, per l’ordinario, si è incapaci di spendere, diversamente dal Nord del Paese. Non vi è dubbio che la proposta della Confederazione è un ulteriore contributo, aggiunto agli altri, e mi riferisco al “PATTO PER IL SUD”. Bisogna crederci di più, non solo noi di Salerno, ma tutta la CISL meridionale, in modo che anche la CGIL e la UIL possano essere coinvolte di più.
É vero, dentro le fabbriche i lavoratori hanno ancora molte ferite che sanguinano per la deindustrializzazione che, come una cattiva erba, non dà segnali di arresto e, d’altro canto, con l’abbattimento dei regimi dell’Est dell’Europa, la nostra situazione si complica. Ma, per fortuna, abbiamo altre aree del sindacato a cui rivolgerci, se non altro per aiutare un processo di vivibilità maggiore delle nostre città e predisporre meglio il territorio a usufruire delle risorse per realizzare infrastrutture utili.
C’è tanto lavoro, o meglio tanto cammino, solo bisogna camminare più velocemente prima che faccia notte per strada: il 1993 è vicino.

Introduzione