DALLA RINASCITA SINDACALE AL PRIMO DECENNIO DI STORIA DELLA CISL SALERNITANA
di Giuseppe Acocella
1. Fummo la “capitale sindacale” della nuova Italia
Quando il giornale salernitano <L’ora del popolo> annunciò il Congresso dei Sindacati cristiani dell’Italia liberata pubblicandone il 17 marzo 1944 il manifesto di convocazione (che si intitolava Lavoratori di tutto il mondo; unitevi in Cristo), Salerno divenne la “capitale sindacale” della nuova Italia.
Già l’asse della storia sindacale italiana si era spostato nel Sud – fino ad allora area marginale nello sviluppo del sindacalismo nazionale – allorché nel gennaio del 1944 era stato siglato il Patto dì Napoli che sanciva una intesa unitaria tra le grandi componenti ideali del sindacalismo dell’Italia liberata (1).
Ma con il Congresso del 19-20 marzo 1944 – in cui si celebrava il Congresso sindacale cristiano a distanza di un mese dal momento in cui si era svolto, sempre a Salerno nel mese febbraio, il Congresso della Confederazione Generale del lavoro di orientamento marxista – questo asse si spostava definitivamente al Sud, ed in specie a Salerno, nella città in cui si erano ricostituite le due grandi Confederazioni, la CG1L in febbraio e la CIL, la Confederazione Italiana dei Lavoratori di orientamento cattolico, a marzo. II Congresso salernitano fu presidiato da Carlo Petrone – che già aveva militato nella CIL prima del fascismo (2) – e consacrò la leadership meridionale di Domenico Colasanto.
Fummo dunque la <capitale sindacale> della nuova Italia. Che lo fossimo stati lo confermarono le vicende succedute allo stesso Patto di Roma, che all’inizio di giugno del 1944 spostava verso la capitale d’Italia il centro delle attività sindacali. Nel luglio Achille Grandi dovette affrontare non poche difficoltà per portarsi in Campania, ad incontrare a Napoli Domenico Colasanto affinché conducesse la CIL alla confluenza nella Corrente Sindacale cristiana firmataria del Patto di unità sindacale (3), Salerno ebbe una “sua” storia, un suo itinerario di adesione al Patto stesso.
Il 27 agosto il giornale socialista salernitano <Il Lavoro> lamentava la ancora non conseguita unità sindacale, ed il 30 ottobre veniva fondato dai sindacalisti cattolici il <Centro diocesano di studi e di attività> con il compito di contribuire alla nascita e allo sviluppo delle ACLI a Salerno. Così anche nella città che era stata la <capitale sindacale> dell’Italia liberata venne stipulato il 1 dicembre 1944 il Patto di unità sindacale. La profonda diffidenza degli ambienti ecclesiastici per l’assetto unitario del sindacato portò ad una caduta dell’iniziativa sindacale autonoma e ad una sostanziale subordinazione delle vicende della corrente sindacale cristiana ai rapporti interni al partito di ispirazione cattolica, la democrazia cristiana ancora guidata da Carlo Petrone.
Ciò portò addirittura alla destituzione del dirigente della corrente sindacale cristiana nella Camera del Lavoro, Nino Franco, accusato da Carlo Petrone di scarsa utilità dell’azione sindacale per l’interesse della DC (4).
Non c’è tempo di ricostruire la vicenda del confronto Petrone-Franco (peraltro tutto interno al Partito giacché non vi fu, da parte del sindacalista, che dichia-ratamente si sentiva rappresentante del partito nel sindacato e non altro, alcuna rivendicazione dei principi di autonomia sindacale).
Basti qui considerare l’intrinseca debolezza di una unità tutta condizionata dal prevalere delle logiche di partito sulla specificità sindacale.
Il1945 fu caratterizzato da questo scontro, che assunse caratteri contraddittori che avrebbero finito per pesare sulla vita della corrente sindacale cristiana prima, e della CISL poi fino alla metà degli anni Cinquanta. Infatti la Camera del lavoro, dopo aver solidarizzato con Franco tra agosto e settembre, nel dicembre denunciava i legami che legavano quest’ultimo al proprietario della SECER costruzioni, Carmine De Martino, che si apprestava a impadronirsi della DC emarginando la corrente popolare ed antifascista di Carlo Petrone.
2. La nascita della CISL e i primi anni ’50
Si può dunque comprendere in quali condizioni di difficoltà dovesse nascere a Salerno, ed in gran parte del Mezzogiorno, il <sindacato nuovo>, la CISL, dopo la scissione del 1948 cui la corrente sindacale cristiana fu indotta dalla inconciliabilità tra la propria concezione e quella della maggioranza comunista e socialista all’interno del sindacato unitario (5).
A differenza che a Napoli, dove un leader della statura nazionale di Domenico Colasanto aveva organizzato una struttura capace di avere fisionomia e strategia proprie sia di fronte alla CGIL sia di fronte al Partito democristiano (6), a Salerno – dove l’ossatura della CISL era costituita analogamente dalle categorie degli enti locali, dei braccianti e della scuola elementare – un eguale compito risultava assai più difficile per l’intrinseca debolezza – specie nelle categorie industriali – del sindacalismo di matrice cattolica.
La presenza cospicua e avvolgente del potere di De Martino (7) condizionò nella prima metà degli anni Cinquanta lo sviluppo della CISL e la maturazione di quei caratteri che invece – nel quadro generale nazionale – andavano configurando la CISL come un sindacato innovativo nel panorama sindacale italiano, fondato sui principi-guida dell’associazionismo, della contrattazione, della autonomia. Anzi, la scelta della aconfessionalità – che costituì un carattere di grande valore nella definizione della fisionomia culturale della CISL – a Salerno costituì piuttosto un elemento di ulteriore debolezza.
Infatti l’aperta confessionalità ostentata dal partito demartiniano appariva più rassicurante agli occhi dello stesso mondo cattolico e delle autorità ecclesiastiche di un sindacato come la CISL, il quale, benché aconfessionale, pure – per le difficoltà ambientali – doveva spesso ricorrere in misura rilevante alla struttura organizzativa ed associativa ecclesiastica per istituire le leghe o i nuclei comunali nella provincia.
3. Il II Congresso nazionale della CISL nel 1955 e l’autonomia organizzativa
II Congresso nazionale della CISL – che si tenne a Roma dal 23 al 27 agosto 1955 – portò alla ribalta questioni che riguardavano direttamente lo sviluppo del sindacato nel Mezzogiorno. In una fase storica in cui maturava la famosa autocritica con cui la CGIL riconosceva la fecondità del modello sindacale contrattuale della CISL, questa rischiava – per le caratteristiche stesse dell’apparato produttivo italiano – di “settentrionalizzarsi” sempre più accentuatamente.
Esplose così la questione dei caratteri assunti dalla CISL nel Mezzogiorno e le garanzie organizzative indispensabili ad una effettiva crescita dell’autonomia nella esperienza della CISL meridionale. Si affrontò in una tesa discussione la scottante questione dell’invio nelle unioni sindacali meridionali di dirigenti sindacali provenienti dalle strutture del Nord.
Se Colasanto – forte di una esperienza di sindacato radicato ed autorevole come era già a metà degli anni Cinquanta quello napoletano – poteva assegnare un ruolo specifico chiedendo: “la CISL si metta alla testa della povera gente del Mezzogiorno” (8), più difficile sembrava che questo potesse avvenire in province come quella salernitana. Il Congresso discusse a lungo sugli aspetti positivi della presenza nelle province del Sud di dirigenti sindacali che sapessero e potessero.- per la loro libertà dai legami personali e dai conseguenti vincoli imposti all’azione sindacale nelle situazioni locali – rompere ambiguità e subalternità immobilizzanti. D’altra parte restava il problema della crescita di una classe dirigente locale autonoma, senza la quale non si sarebbe mai rimediato alla estraneità dall’ambiente meridionale che finiva per segnare la pur lodevole opera dei dirigenti mandati dall’ esterno e per condannarla all’ infecondità dell’esempio.
A Salerno, dalla fine del 1954, era Segretario Generale dell’Unione Sindacale Provinciale un friulano, Rolando Cian (9).
4. Rolando Cian ed il rilancio della CISL nella seconda metà degli anni ’50
Cian aveva dovuto affrontare fin dal suo arrivo il problema dell’autonomia, requisito fondamentale per il consolidamento organizzativo e politico della CISL salernitana. In una lettera del 10 giugno 1955 indirizzata a Giulio Pastore egli riferiva al Segretario generale di lavoratori della SOMETRA – la società di trasporti di cui era proprietario Carmine De Martino – i quali rifiutavano di aderire alla CISL, preferendo la CGIL, benché iscritti alle ACLI e all’Azione Cattolica.
Essi motivando il rifiuto con il fatto che la subalternità della CISL a De Martino la rendeva sindacalmente non affidabile.
Cian concludeva: “É nostro proposito di rinnovare il tentativo per reperire nuovi elementi e cercare di costruire un Sindacato con tutti i requisiti di autonomia” (10).
Pertanto il II Congresso provinciale della USP (svoltosi il 29-30 giugno 1956) costituì una tappa decisiva nel percorso di organizzazione delle singole categorie in cui avrebbe dovuto concretizzarsi la rinnovata strategia sindacale basata sull’affermazione dell’autonomia. L’anno che seguì fu particolarmente emblematico dello sforzo profuso nel radicare nuove adesioni ed una forte fisionomia della CISL nelle articolazioni più significative del lavoro pubblico e privato in provincia di Salerno. Si cominciò con i fatti di Bellizzi del 6 e 7 agosto 1956, che videro la CISL in lotta contro lo strapotere, gli abusi e la prepotenza di industriali conservieri e proprietari terrieri, in prevalenza legati alla Democrazia cristiana di Carmine De Martino.
L’industria conserviera costituiva certo il settore più rilevante dell’economia salernitana per produzione di reddito e per numero di addetti, e per la sua connessione con l’agricoltura, tradizionale settore forte di quell’area e teatro già di lotte sociali da parte del movimento sindacale cattolico nel primo dopoguerra. L’arresto del dirigente zonale della CISL provocò una forte ed unanime risposta dell’Esecutivo provinciale (11), la quale rese concretamente manifesta cosa significasse per la CISL rivendicare autonomia in nome della fedeltà alla classe lavoratrice anche producendo una articolazione interna allo stesso movimento politico dei cattolici.
Pochi mesi dopo l’esplodere di una conflittualità nuova in settori diversi costituì il segno tangibile di una scelta dell’autonomia sindacale che dava un vigore fino ad allora sconosciuto all’iniziativa della CISL. All’inizio di marzo del 1957 veniva proclamato uno sciopero generale dei lavoratori edili aderenti alla CISL nella zona di Campagna, mentre nell’industria di coltivazione e lavorazione del tabacco, la SAIM (anch’essa di proprietà dell’on. De Martino), iniziava una serie di scioperi che sarebbe poi stata portata avanti per tutto il 1958, e che avrebbe visto un impegno diretto della CISL nazionale a fianco dei lavoratori salernitani (12).
Il 26 marzo 1957 l’Esecutivo provinciale della CISL interveniva ancora per denunciare le gravi pressioni subite dai rappresentanti della CISL nella SITA e negli ospedali di Salerno e Nocera (ove si denunciavano le intimidazioni esercitate personalmente dall’on. De Martino), e testimoniava la volontà di lotta espressa dagli iscritti alla CISL contro una controparte che, forte di un potere politico-amministrativo ed economico ad un tempo, esprimeva una volontà anti-sindacale apparsa fino a quel momento inattaccabile (13). Una nuova dirigenza si affermava in concomitanza con la crescita di una nuova coscienza dell’autonomia sindacale, e assumeva un valore pienamente politico che scuoteva dall’interno la stessa Democrazia Cristiana, fino a quel momento saldamente dominata dalla destra filo-padronale di Carmine De Martino.
Parte rilevante di questa dirigenza fu rappresentata dalle dirigenti sindacali femminili, in particolare Amalia Cirino tra le tabacchine, Loda Santilli tra gli ospedalieri (14), nello stesso periodo in cui anche la CISL di Napoli conosceva l’esperienza esemplare della tabacchina Margherita De Santis (15).
5. Sindacato e politica
Giulio Pastore seguì di persona le vicende salernitane, e all’approssimarsi delle elezioni al Parlamento – cosciente del valore direttamente politico assunto dall’esperienza della CISL salernitana – chiese in una lettera personale a Cian, spedita il 10 maggio 1957, e finora inedita, informazioni riservate sulla situazione politica locale e se fosse utile proporre direttamente candidature di sindacalisti, precisando però che la richiesta di informazioni “non deve costituire essa stimoli ad essere presenti ad ogni costo con nomi nostri nella competizione elettorale”.
La lettera di risposta di Cian – anch’essa finora inedita – venne spedita il 26 maggio 1957: “Caro Pastore, rispondo alla tua riservata n. 1811 del 10-5-1957. Tu sai già le mie opinioni in tema di politica attiva e conosci le mie attitudini.
Tu hai pure sufficiente cognizione delle cose salernitane: la DC controllata dal gruppo De Martino, con scarse possibilità di condizionamento interno”. Segui¬vano considerazioni sui partiti laici, il PLI, il PRI, il PSDI giudicati inconsisten¬ti, e sui deputati e senatori uscenti.
La lettera così terminava, dando prova di grande realismo politico: “É esclusa quindi ogni possibilità concreta, razionale, producente di candidature sindacali, almeno in provincia. Salerno, Avellino e Benevento fanno parte del collegio. Al momento delle scelte e degli appoggi indiretti si valuteranno le garanzie (pur limitate) dei candidati politici in rapporto alla sensibilità sociale ed alla dirittura morale dei singoli” Si può dire che questa lettera sia profetica sia perché apertamente “incompatibilista”, sia per le realistiche considerazioni circa la possibilità di impostare un rapporto tra sindacato e politica che tenesse conto della specificità della situazione salernitana.
6. Il Congresso del primo decennio.
Conclusione II IV Congresso dell’USP – svoltosi l’8 marzo 1959, a chiusura di un decennio difficile ed emblematico – poteva così sancire il consolidamento di una organizzazione sindacale matura organizzativamente ed autonoma politicamente, tanto che Rolando Cian poteva affermare in quel Congresso, a nome ormai di tutta la CISL salernitana: “noi crediamo al sindacato, crediamo all’organizzazione libera dei lavoratori, e vogliamo che sia qualificata così la nostra organizzazione sindacale: che la prima fedeltà deve andare al sindacato e poi a tutto il resto” (16).
Saldamente fondata su questa rinnovata consapevolezza la CISL salernitana concludeva la fase costituitiva della sua storia, apprestandosi ad affrontare con possibilità e capacità nuove le sfide del nuovo decennio, e poi successivamente degli altri che hanno costituito la trama coerente della vicenda quarantennale che oggi tutti insieme – eredi di questa nobile storia – ricordiamo e celebriamo per trarne stimoli nuovi alle sfide che attendono la CISL salernitana, alle pagine che ci restano ancora da scrivere.